29
agosto 1949, la Galleria dell’Angelo a
Città di Castello inaugura la seconda mostra dedicata ai
dipinti di Alberto Burri. Un invito dà le indicazioni
essenziali: luogo, titolo della mostra, autore e data;
all’epoca non si facevano cataloghi e il titolo Mostra
di dipinti non permette l’identificazione delle
opere. Le informazioni giungono dai ricordi dei presenti e da
recensioni dei giornali locali.
Della mostra del 1948, resta un articolo nel periodico “La
Rivendicazione” del 18 settembre. Il redattore della cronaca,
dopo aver annotato che il pittore umbro ha avuto riconoscimenti per la
sua originalità alla mostra nazionale al Forte dei Marmi da
poco conclusasi, riferisce che il pubblico di Città di
Castello, pur apprezzando la “sensibilità
coloristica” di Burri, non riesce a comprenderne la
novità. Il cronista stesso si riconosce in questa posizione
e ammette che non sa se considerare la pittura di Burri decorativa o
ermetica e, come tale, comprensibile solo da pochi!
Contemporaneamente si meraviglia e plaude al successo di mercato della
mostra, che vende quasi tutte le opere ai tifernati: un fatto del tutto
positivo e inaspettato per la città, in genere conformista e
poco aperta alle innovazioni.
Non sono molto diversi i commenti alla seconda esposizione delle opere
di Alberto Burri, pubblicati nella “Voce Cattolica”
il 9 ottobre del 1949: “Burri è certamente
difficile a capirsi! I suoi quadri mozzano il respiro a chi,
guardandoli, non riesce a raccapezzarsi”. Il giornalista
riporta l’unica chiave di lettura fornita dal pittore che
definisce le sue opere “forme pure in perfetta armonia fra di
loro e godibili in quanto tali” e, scettico, conclude:
“Ci auguriamo di diventare più sensibili a
quell’arte; e per ora, non possiamo che rassegnarci alla
nostra durezza, ritenuta inguaribile dai raffinati
intenditori”.
29 agosto 2009,
esattamente allo scadere dei sessanta anni da allora, la Galleria delle
Arti di Luigi Amadei a Città di Castello inaugura
un’esposizione di tempere di Burri, tutte di provenienza
tifernate. Fra di esse alcune furono acquisite in occasione delle due
suddette mostre ed altre donate dall’artista agli amici,
tutte rimaste dai proprietari gelosamente custodite e riservate per
tutti questi anni. Sicuramente furono scelte per il fascino dei colori,
o per la cieca fiducia nel genio di Burri. Certamente nessuno, forse,
pensava di fare “un affare”!
La mostra alla Galleria delle Arti è l’occasione
per poter vedere queste piccole opere della fine degli anni quaranta, e
alcune più tarde, molte di esse inedite. Fa eccezione, tra
altre, il dipinto Le Fienaie. È questa
un microcosmo di colori racchiusi come in un gioiello di pietre
preziose a intarsio, in piccolissimi e ben definiti ambiti spaziali;
linee colorate, sinuose e sottili collegano idealmente le parti
colorate a creare un insieme inscindibile e armonioso dal quale non si
può togliere o aggiungere nulla. L’opera
è legata ad un particolare periodo della vita
dell’artista. Burri, in una delle rare interviste, edita nel
1991 nella “Stampa” di Torino, la cui data
curiosamente coincide con quella dell’inaugurazione delle due
mostre, del 1949 e dell’attuale, riferisce appunto del luogo,
le Fienaie, dove si era appartato nell’estate
del’49; situato in un passo dell’Appennino
Altotiberino “nel verde e nel silenzio”, era per il
pittore un posto ideale per cacciare, riflettere e lavorare. Qui crea i
suoi primi capolavori, fra cui il Catrame che nel
1950 fu riprodotto da Christian Zervos nei “Cahiers
d’Art”, esposto dal 1981 nella Fondazione Burri a
Città di Castello e il Gobbo, poi
donato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, nel
quale l’ estroflessione della superficie pittorica
è ottenuta con due rami di quercia incrociati a retro,
ovviamente reperiti nei boschi delle Fienaie.
Nelle opere del 1948 l’arte di Burri ha abbandonato la
figurazione presente in alcune tempere coeve, si tratta in
realtà di una figurazione scarna ed essenziale ma assai
efficace, come in una di esse in mostra, in cui
l’architettura orientaleggianteè rilevata da un
muro di pietra bianca che si staglia su una montagna marrone scuro,
forse di origine vulcanica, lambita da un mare blu.
Nelle tempere del 1949 la figurazione lascia campo libero alla pura
astrazione. Come Le Fienaie, altri piccoli
dipinti in esposizione, sono dominate dal segno scuro che evidenzia e
raccorda le cromie e rimanda alle antiche piombature delle vetrate
francesi; altri ancora preludono ai grandi
“Cellotex” degli anni Ottanta.
La Galleria delle Arti propone, accanto alle piccolissime tempere,
anche la cartella di sedici serigrafie del 1989 intitolata Il
Sestante, realizzata dalla Stamperia Multiplo Serigrafico di
Città di Castello: il ciclo delle grafiche è
intimamente legato alle tempere che ne costituiscono la matrice.
Come noto, esse accompagnano parallelamente l’opera di Burri,
spesso monocroma, distinguendosi per l’intenso cromatismo.
I colori usati nelle tempere sono difficilmente traducibili in
serigrafia per i limiti imposti dalla cromia delle macchine da stampa.
La parola limite è sempre stata per Burri la motivazione al
suo superamento, anche in questo caso egli si cimenta con Nuvolo,
titolare della stamperia, nella realizzazione di queste serigrafie,
nelle quali la difficoltà maggiore era di rendere la
fluorescenza di alcuni timbri cromatici. Dopo un lungo studio, seguito
da altrettanti esperimenti e prove, Burri e Nuvolo arrivano allo
splendido risultato e la tiratura soltanto ne dichiara la loro
identità di opere seriali.
Una mostra, dunque, che ruota intorno all’amore che Burri
nutre per Città di Castello, coronato con la creazione della
Fondazione Burri nel 1978 e incentrata su opere che testimoniano il
passaggio alla maturità artistica del pittore che, con il
Catrame del ’49, riprodotto nei “Cahiers
d’Art”, assurge alla storia dell’arte
universale.
Chiara Sarteanesi, 2009